Foto di Stefano Spangaro - Cral Voltois

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Vita genuina di montagna ... Voltois UD

lunedì 13 aprile 2009

Cantucci o Biscotti di Prato - Storia















Appunti di Gabriele Giovanelli detto
Il Tosco Duca Peposo del Cantuccio "

Allora, per schematizzare visto che non sono stato sufficientemente chiaro:
- i cantucci di Prato, che Mattonella faceva ancor prima di inventare i biscotti, sono delle fette biscottate al sapore di anice;
- i biscotti di Prato, quelli per intendersi con le mandorle, hanno assunto con il tempo il nome di cantucci o cantuccini; ma come detto sopra non è storicamente corretto, anche se ormai di uso universale.
Detto questo, veniamo alle ricette. Semplicissimo: la ricetta non esiste. O meglio, è segreta. Talmente segreta che al confronto quella della Coca Cola fa ridere. Io ne avevo una che trascrivo


Storia di Rossanina di www.coquinaria.it
“A Prato, in un vecchio negozio di via Ricasoli – in quel tratto del tradizionale passeggio pratese che va da Piazza del Comune a Piazza San Francesco – è riposto un dolce segreto. E’ il segreto dei dolci più semplici ma più famosi della Toscana, è il segreto dei cantucci, dei biscotti di Prato, quelli con le mandorle, quelli che a fine pranzo s’inzuppano nel vinsanto come Dio comanda. La vecchia insegna del negozio porta ancora il nome del benemerito e celeberrimo fondatore, e ricorda tutti i riconoscimenti ricevuti nel tempo, sia in città italiane, che all’estero, della pregiatissima ditta Antonio Mattei – fabbrica di Cantucci, Biscotti e Mantovane – Premiata alle Esposizioni di Torino 1862, Napoli 1874, Prato 1880, Camera di Commercio Firenze 1870, Parigi 1867, Londra 1862.La vecchia insegna parla di “Cantucci” e quindi anche noi ci atteniamo a tale termine al quale, in dizionari antichi e moderni, è stato dato il significato di “biscotti a fette”, “biscotti croccanti” e via dicendo. Perciò in Toscana ed anche altrove non mancano coloro che parlano di “cantucci”. “cantuccini”, “cantucci di Prato”:; peraltro il nome di gran lunga più conosciuto e più usato è quello di “biscotti di Prato”, foss’anche per distinguere questi dolcetti così famosi, diffusi e richiesti, da altri prodotti che hanno più o meno lo stesso aspetto pur essendo diversi.L’insegna di via Ricasoli, ovviamente, si attiene all’anagrafe e parla di Antonio Mattei, ma i pratesi di un tempo lo chiamavano “Mattonella” (e c’è ancora chi chiede “i biscotti di Mattonella”)attribuendogli doti quasi magiche e comunque la conoscenza di particolari ed esclusive ricette. I suoi successori, che hanno voluto e saputo mantenere le antiche tradizioni della famosa pasticceria (o biscottificio) pratese, dicono che non esiste alcuna ricetta segreta, perché la ricetta è conosciuta da tutti, ma che il segreto è riposto nella genuinità, e cioè nell’impiego di ingredienti di prima scelta, e nell’accuratissima lavorazione.In effetti “Mattonella” non fu un prestigiatore, e non estrasse i celebri biscotti da un cappello magico, poiché un biscotto non molto differente da quello pratese è descritto, dicono, in un libro del XVIII secolo, ed anche oggi sono molti i forni e le pasticcerie che producono biscotti di quel tipo.Però…però i pratesi sostengono che un segreto c’è, perché i dolci di Prato hanno “una marcia in più” hanno un qualcosa di speciale che li distingue da altri prodotti consimili, sia pure ottimi, ma non proprio uguali. E infatti quando Mattei sfornò i suoi primi biscotti, i pratesi li chiamarono “garibaldini” forse proprio perché avevano un qualcosa in più che dava loro la carica. E a favore della chiacchierata ricetta segreta, c’è anche una popolare leggenda, una voce molto diffusa, secondo la quale, allorché gli operai del Mattei avevano preparato l’abituale impasto dei dolcetti, Mattonella faceva allontanare tutti i suoi collaboratori e soltanto quando era rimasto solo, aggiungeva all’impasto un qualcosa che conferiva ai biscotti di Prato quel loro inconfondibile sapore che ancora oggi li fa prediligere dai toscani e dai buongustai di casa nostra, oltre a farli richiedere continuamente anche da clienti francesi, inglesi, americani e di altri paesi.”
Spero di averti soddisfatta un po' Liliana. Ora aspettiamo Enzo, che anche lui secondo me potrà aiutarci per questa ricerca.
Rossanina
Allora, per schematizzare visto che non sono stato sufficientemente chiaro:
- i cantucci di Prato, che Mattonella faceva ancor prima di inventare i biscotti, sono delle fette biscottate al sapore di anice;
- i biscotti di Prato, quelli per intendersi con le mandorle, hanno assunto con il tempo il nome di cantucci o cantuccini; ma come detto sopra non è storicamente corretto, anche se ormai di uso universale.
Detto questo, veniamo alle ricette. Semplicissimo: la ricetta non esiste. O meglio, è segreta. Talmente segreta che al confronto quella della Coca Cola fa ridere. Io ne avevo una che trascrivo


Appunti di Jean-Michel di http://www.coquinaria.it/
Leonardo Romanelli:Non chiamateli cantucci altrimenti i pratesi si arrabbiano. Il nome originale è semplicemente quello di biscotti di Prato, preparati con abbondanza di mandorle, diventati erroneamente famosi per essere veramente buoni solo se consumati inzuppati nel Vin Santo. Sì perché, a ragion veduta, i buongustai più attenti affermano che, in questo modo, si rovinano due prodotti di grande nobiltà: il vino, poiché frutto di un lavoro certosino, che non merita di essere “sporcato” da briciole di pasta; ed il biscotto, che altrimenti pare non essere un prodotto completo senza l’aggiunta del nettare alcolico. Consumati in abbinamento, mangiando uno e bevendo l’altro, sono però un matrimonio ben riuscito. Se dobbiamo essere precisi, una ragione sul nome cantucci può essere trovata nel fatto che le persone meno abbienti, pur di godere della bo ntà dei biscotti senza poterseli permettere da un punto di vista economico, si accontentavano delle parti terminali del filoncino cotto, dette appunto cantucci. Si tratta di un dolce recente, nato alla metà del XIX secolo. La tradizione vuole che sia il biscottificio Mattei, detto popolarmente “Mattonella”, tuttora esistente nella centralissima Via Ricasoli, ad aver creato la ricetta originale. Secondo i bene informati, il manoscritto sarebbe conservato in una cassetta di sicurezza ma la famiglia Pandolfini, che rilevò la gestione del biscottificio all’inizio del XX secolo, di certo non ha cambiato una virgola rispetto alle indicazioni date dal fondatore, Antonio Mattei. Fra gli estimatori del dessert pratese, si annovera anche lo scrittore tedesco Herman Hesse, che cita in una lettera raccolta nel libro “Dall’Italia” dei biscotti di Prato tanto buoni che furono in grado di fargli tornare il buonumore. Ma non è il solo personaggio famoso ad essere venuto in contatto con la delizia alle mandorle.Pellegrino Artusi nel suo libro “La scienza in cucina e l’arte di mangiare bene” narra dell’incontro con Antonio Mattei, persona tanto gentile e squisita che gli fa assaggiare la sua produzione dolciaria. Tra i prodotti che più lo colpiscono, i biscotti alle mandorle e le cosiddette “mantovane”, delle torte Paradiso con l’aggiunta di pinoli. La lavorazione dei biscotti è semplice: un impasto fatto con uova, zucchero, farina, burro, scorza di limone viene addizionato di mandorle e lievito, quindi steso a forma di filoncino e cotto in forno. Tra i segreti della riuscita sta proprio il forno, che deve essere in grado di asciugare perfettamente l’impasto, senza però seccare troppo l’interno. Si consiglia infatti, dopo il taglio del filoncino, che a livello artigianale viene fatto a mano, di rimettere i biscotti ottenuti in teglia e poi farli passare di nuovo in forno per qualche minuto, affinché risultino croccanti e friabili allo stesso mome nto. L’utilizzo in cucina è stato tentato, negli ultimi anni, nella preparazione dei dolci al cucchiaio. Per esempio, come ingrediente di complemento di bavarese e panna cotta, messo insieme nell’impasto, oppure utilizzato per aromatizzare salse che vengono servite insieme a charlotte. Non manca, ovviamente, anche il gelato fatto con il biscotto di Prato, ed il semifreddo, dove viene riproposto il vituperato legame con il Vin Santo.

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